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Fabbisogno di assistenza infermieristica nei servizi sanitari e sociali nel lazio

Area clinica
2.16.21

Fabbisogno di assistenza infermieristica nei servizi sanitari e sociali nel lazio

Analisi del fabbisogno di assistenza infermieristica nei servizi sanitari e sociali nel Lazio

Responsabile del Polo

Abstract

In un territorio vasto come quello della Regione Lazio, sono centinaia i servizi offerti dal Servizio Sanitario Regionale (SSR) e dai Comuni per rispondere ai bisogni sanitari e sociali della popolazione.

L’obiettivo di questo progetto è quello di effettuare un’analisi dei servizi sanitari  e socio-assistenziali erogati dal Servizio Sanitario Regionale e dai Comuni delle provincie del Lazio, al fine di valutare se ai suoi cittadini è garantito il diritto di ricevere livelli adeguati di assistenza infermieristica, confrontando gli organici infermieristici attualmente in forza col fabbisogno rilevato.

Tale progetto, per la prima volta, intende consegnare un’istantanea delle attività erogate dal SSR tra il Pubblico e il Privato identificandone punti di forza e di debolezza

Background

Se i bisogni di salute sono, o quantomeno dovrebbero essere, il principale determinante della domanda di assistenza sanitaria e, quindi, anche dell’allocazione delle risorse ad essa destinate, d’altra parte la crescente complessità di quegli stessi bisogni obbliga a un ripensamento profondo e alla conseguente riprogettazione sia dei luoghi di cura, che dei modelli organizzativo/assistenziali in atto, favorendo una vera integrazione ospedale-territorio e ridefinendo i modelli di assistenza (Rasero et al., 2014).

L’ospedale, dunque, non sembra più essere l’unico collettore della domanda di salute. Oggi si parla di setting assistenziali alternativi alla concentrazione ospedaliera di prestazioni diagnostico-terapeutiche: ora è il territorio a costituirsi come ambito privilegiato di governo sociosanitario dei processi assistenziali.

Inoltre, la progressiva incidenza di patologie cronico - degenerative evidenzia ancor di più la necessità di costruire percorsi assistenziali e di cura subintensivi, a metà tra l’intensività assistenziale ospedaliera e l’estensività assistenziale della cronicità accudita a domicilio e nelle strutture territoriali (Ridolfi, 2011).

Per il modo in cui sta evolvendo il quadro demografico ed epidemiologico, si afferma un generale consenso internazionale sul fatto che per migliorare l’assistenza alle persone in condizioni di malattia cronica occorra un approccio più ampio, “è necessario sollevare l’orizzonte del sistema sanitario dalla malattia alla persona e alla popolazione” (Nasmith et al, 2010). Il modello capostipite di un tale approccio è il Chronic Care Model (Wagner, 1998), che si basa su sei fondamentali componenti interdipendenti fra loro:

1)      per migliorare l’assistenza ai pazienti cronici, le organizzazioni sanitarie devono stabilire solidi collegamenti con le risorse della comunità: gruppi di volontariato, gruppi di auto aiuto, centri per anziani, ecc;

2)      per innovare i processi assistenziali e migliorare la qualità dell’assistenza, una nuova gestione delle malattie croniche deve entrare a far parte delle priorità delle organizzazioni sanitarie;

3)      nella gestione della malattia cronica il paziente deve diventare il protagonista attivo dei processi assistenziali attraverso il supporto all’auto-cura da parte dei sanitari: la gestione della malattia cronica può essere insegnata alla maggior parte dei pazienti e delle loro famiglie – la dieta, l’esercizio fisico, il monitoraggio (della pressione, del glucosio, del peso corporeo, etc.), l’uso dei farmaci – aiutandoli ad acquisire abilità e fiducia nella gestione della malattia, procurando loro gli strumenti necessari e valutando regolarmente i risultati e i problemi;

4)      l’organizzazione del team assistenziale deve essere profondamente modificata, distinguendo l’assistenza ai pazienti acuti dalla gestione programmata dei pazienti cronici: i medici trattano i pazienti acuti e intervengono nei casi cronici difficili e complicati, gli infermieri supportano l’autocura dei pazienti, svolgono alcune specifiche funzioni tecniche e assicurano la programmazione e lo svolgimento del follow-up dei pazienti;

5)      l’adozione di linee-guida basate sull’evidenza per tutti i componenti del team fornisce il supporto decisionale per un’assistenza ottimale ai pazienti cronici;

6)      infine i sistemi informativi computerizzati svolgono tre importanti funzioni: 1) sistema di allerta a corredo delle linee-guida; 2) feedback per medici e infermieri rispetto ai loro livelli di performance nei confronti degli indicatori delle malattie croniche; 3) registri di patologia (liste di tutti i pazienti con una determinata condizione cronica, in carico al servizio), per pianificare la cura individuale dei pazienti e per amministrare un’assistenza population-based.

Il Chronic Care Model (Wagner, 1998)è stato adottato dall’OMS e largamente introdotto nelle strategie d’intervento dei sistemi sanitari di diversi Paesi, dal Canada all’Olanda, dalla Germania al Regno Unito (Maciocco, 2011). E’ evidente come la rilevazione del fabbisogno di risorse umane professionali nel campo sanitario debba tener conto di un tale approccio.

Nel 2011 la Regione Lazio ha effettuato una stima di prevalenza della popolazione eleggibile in assistenza domiciliare integrata (ADI), distinguendo tra popolazione di età <65 anni (6.676 unità) e popolazione ultra64enne (50.273 unità, pari al 4,4%), a sua volta disaggregata per ASL e per livello assistenziale (basso, medio e alto) (DCA n. 429 del 24.12.2012)[1]. L’estensione del Servizio auspicata con il suddetto decreto è ben lontana dal numero di assistiti attualmente in carico, nonostante probabilmente fosse addirittura sottostimata. Oltretutto senza considerare l’urgenza del bisogno assistenziale, quanto mai necessario in condizioni di scarsità delle risorse. La definizione di questa urgenza è espressa bene dal concetto di “fragilità”, che talvolta assume caratteristiche prevalentemente sociali (scarse risorse economiche, solitudine), altre volte sanitarie (malattie invalidanti, decadimento cognitivo), altre volte ancora, entrambe.  Proprio per questo c’è bisogno di poter fare una valutazione sistematica che lasci emergere le situazioni di maggior “fragilità” e, quindi, di maggior urgenza dell’intervento (Liotta et al, 2006).

Un tale screening della fragilità è stato effettuato dal Centro di Eccellenza per la Cultura e la Ricerca Infermieristica del Collegio IPASVI di Roma, in collaborazione con il Laboratorio di Epidemiologia dell’Università “Tor Vergata” di Roma. I risultati dell’indagine, conclusa nel 2014 e in corso di pubblicazione, restituiscono una popolazione anziana ultra64enne fragile per il 21,6%, suddivisa in “molto fragili” (7,6%) e “fragili” (14%). Tali percentuali salgono nella popolazione ultra74enne rispettivamente al 12,6% ed al 19,2%. Le analisi univariata e multivariata mettono in evidenza quali determinanti della fragilità: la disabilità, la tipologia di convivenza, le classi di età, la presenza di neuropatie e il titolo studio. Un approfondimento di indagine condotto su tali dimensioni ha portato all’elaborazione ed alla proposta di un codice su cui basare un triage della fragilità in grado di far emergere la dimensione, l’urgenza e l’intensità degli interventi ad oggi richiesti. Su questa base si può affermare che il numero di anziani che necessita di interventi urgenti (entro una settimana) superiori alle 8 ore settimanali è pari a circa 70.000 in tutta la Regione (5,9%). Altrettanti anziani richiedono interventi più limitati o al bisogno, accompagnati da un monitoraggio telefonico. Gli interventi necessari sono prevalentemente di tipo sociale, mentre quelli sanitari sono in genere legati alla soluzione di problemi specifici, spesso molto limitati nel tempo. Per i rimanenti (circa un milione) le necessità di assistenza si limitano a un monitoraggio telefonico nei momenti critici, come le ondate di calore, con isolati interventi nei momenti di difficoltà, concentrati sulla fascia di popolazione più a rischio di fragilità (gli ultra74enni).

Consapevole delle nuove sfide poste da una parte dallo sviluppo scientifico e tecnologico, dall’altra dall’evoluzione dei bisogni dei cittadini, l’infermiere è pronto ad esercitare le proprie competenze assistenziali sia in ospedale, sia a domicilio, sia nei servizi di cure intermedie, svolgendo la propria attività ad un livello sempre maggiore di autonomia definita non solo dall’aumento delle competenze ma anche dall’arricchimento dei processi di assistenza con una nuova responsabilità decisionale e professionale (Ferri & Giotto, 2013). A tali nuove responsabilità corrisponde il diritto del cittadino a ricevere cure infermieristiche qualificate, che, in caso di patologia acuta gestita in ospedale, lo mettano nelle condizioni di rispondere adeguatamente ai trattamenti medici e di gestire autonomamente il recupero dopo la dimissione, e, in caso di malattia cronica, gestita il più possibile presso il domicilio, lo rendano “protagonista attivo dei processi assistenziali attraverso il supporto all’auto-cura” (CCM).

Come raccomandato dall’OCSE (2015), nel suo ruolo di confronto e di coordinamento delle politiche economiche e di sviluppo, i Paesi membri devono assicurare un’assistenza sanitaria accessibile, di elevata qualità e sostenibile, promuovendo un uso razionale delle risorse specialmente attraverso appropriati incentivi a favore di utenti e fornitori di assistenza, e attraverso il coordinamento tra i sistemi di cura e le istituzioni pubbliche e private.

Quanti infermieri servono per garantire la qualità dei processi assistenziali gestiti dall’infermiere?

 La media di infermieri nei Paesi OCSE è dell’8,8 per mille abitanti, a fronte di 6,3 infermieri ogni 1000 abitanti in Italia; mentre in relazione al numero di posti letto in ospedale per acuti ci attestiamo su una media di 3.4 per mille abitanti, contro i 4.8 della media OCSE.

Con un ribaltamento di prospettiva bottom up, intendiamo definire il fabbisogno delle risorse infermieristiche e del personale di supporto atto a garantire adeguati livelli assistenziali nei diversi setting di cura, per rispondere alla domanda di qualità e di sicurezza delle prestazioni, da una parte, e per il rispetto delle diverse professionalità coinvolte dall’altra.

A tal fine la Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria della Regione Lazio ha elaborato il documento “Criteri generali per determinazione delle dotazioni organiche nelle Aziende ed Enti del SSR” (prot. n. 259999 del 13.5.2015), secondo il quale tale determinazione deve tener conto del riordino della rete ospedaliera e territoriale e, per le UUOO con posti letto, si basa sulla “programmazione di aree omogenee di dipendenza per livello di complessità assistenziale”. Mentre per i Servizi e le aree territoriali rinvia a “lavori e studi elaborati da riconosciute società scientifiche a livello nazionale”. Sulla base di tali indicazioni, tutte le ASL e le AO del Lazio avrebbero dovuto redigere un documento recante la dotazione organica, da trasmettere in Regione entro il 31 maggio 2015.

Le Regioni e i Comuni, attraverso il servizio pubblico o avvalendosi di strutture private autorizzate, accreditate o convenzionate, si impegnano a rispondere ai bisogni sanitari e socio-assistenziali dei cittadini.

Il primo obiettivo di questo progetto è quello di effettuare una ricognizione dei servizi sanitari e socio-assistenziali erogati nella Regione Lazio:

  • direttamente dal SSR;
  • da strutture sanitarie private[2] convenzionate o meno col SSR, comprese case di cura e laboratori;
  • da strutture che prestano servizi socio-assistenziali[3].

In seguito, occorre quantificare numericamente gli infermieri impegnati nei suddetti servizi e confrontarli col fabbisogno stimato, in modo da definire l’eventuale deficit di personale che potrebbe condizionale il livello qualitativo e la sicurezza delle prestazioni da erogare (Orlandi, 2011; Orlandi, 2012).



[1]
   La stima è stata effettuata: per la popolazione di età inferiore ai 65 anni facendo riferimento ai dati del Rapporto “L’assistenza domiciliare in Toscana” (Regione Toscana, 2006), per la popolazione ultra64enne applicando i tassi di prevalenza derivanti dallo studio BISS (Il bisogno socio-sanitario degli anziani in Toscana, documenti ARS Toscana, 2009).

[2] DCA 8/2011 Modifica dell’Allegato 1 al Decreto del Commissario ad Acta U0090/2010 per:  a) attività di riabilitazione (cod. 56), b) attività di lungodegenza (cod. 60); c) attività erogate nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) per i livelli prestazionali: R1, R2, R2D e R3 – Approvazione Testo Integrato e Coordinato denominato “Requisiti minimi autorizzativi per l’esercizio delle attività sanitarie e socio sanitarie”.

[3] Legge regionale del 12 dicembre 2003 n. 41 “Norme in materia di autorizzazione all‟apertura ed al funzionamento delle strutture che prestano servizi socio-assistenziali” e DGR 1305/2004: "Autorizzazione all'apertura ed al funzionamento delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale che prestano servizi socio-assistenziali. Requisiti strutturali ed organizzativi integrativi rispetto ai requisiti previsti dall'articolo 11 della l.r. n. 41/2003" e s.m.i.

Obiettivi di progetto

Obiettivi generali

-      Mappatura dei servizi sanitari e  socio-assistenziali erogati nel Lazio.

-      Valutazione del fabbisogno di assistenza infermieristica nei servizi pubblici e privati nel Lazio.

 

Obiettivi specifici

1° step: Effettuare una ricognizione dei servizi Sanitari e Socio-Assistenziali erogati nelle provincie di Roma, Viterbo, Frosinone, Latina e Rieti.

2° step: Quantificare l’attuale dotazione organica infermieristica in ciascuno dei servizi censiti.

3° step: Valutare criticamente il rapporto tra infermieri impiegati per la copertura dei servizi erogati e standard numerici del personale per le attività individuate.

Metodologia

Disegno dello studio

·      Esplorativo/descrittivo

 

Strumenti di rilevazione

·      Atto di Autonomia Aziendale delle ASL e AO più siti istituzionali per la ricognizione dei servizi sanitari pubblici.

·      Regione Lazio – Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria “Criteri generali per la determinazione delle dotazioni organiche nelle Aziende ed Enti del SSR” (prot. n. 259999 del 13.5.2015).

·      DCA 265/2014 e s.m.i. per la determinazione degli organici di Pronto Soccorso, DEA di I e II livello.

·      DCA 8/2011: per la classificazione dei servizi socio-sanitari e calcolo del fabbisogno di personale infermieristico.

Legge regionale n. 41/2003 e s.m.i. e DGR n. 1305/2004 e s.m.i., per la classificazione e i requisiti dei servizi socio-assistenziali.

Risultati attesi

La mappatura dei servizi sanitari e socio-assistenziali erogati nelle Provincie del Lazio (Roma, Viterbo, Frosinone, Latina e Rieti) è importante per diversi aspetti, non solo dal punto di vista dell’analisi territoriale e dei bisogni insoddisfatti di salute da parte del SSR, ma anche per aspetti strategico-politici professionali.

Tale documento consegnerà, per la prima volta, un’istantanea dei servizi resi dal SSR tra il Pubblico e il Privato identificandone punti di forza e debolezze.

Bibliografia

-          ARS Toscana. (2009). Il bisogno socio-sanitario degli anziani in Toscana: i risultati dello studio epidemiologico di popolazione BiSS. Documenti ARS.

-          Ferri A., Giotto S. (2013). Linee Guida Nazionali per l‘integrazione sociosanitaria. Progetto AIDA.

-          Liotta G., Scarcella P., Mancinelli S., Palombi L., Cancelli A., Marazzi M.C. (2006). The evaluation of care needs in elderly people: the use of Geriatric Functional Evaluation Questionnaire. Annali di Igiene; 18(3):225-235.

-          Maciocco G. (2011). Assistere le persone con condizioni croniche http://www.saluteinternazionale.info/2011/06/assistere-le-persone-con-condizioni-croniche/

-          Nasmith L., Ballem P., Baxter R, et al. (2010). Transforming care for Canadians with chronic health conditions: Put people first, expect the best, manage for results. Ottawa, ON, Canada: Canadian Academy of Health Sciences,

-          OCSE (2015). Presentazione della revisione sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia. Roma, 15 gennaio 2015. Auditorium, Ministero della Salute - Lungotevere Ripa, 1

-          Orlandi C. (2011). Organici degli infermieri e mortalità ospedaliera. l'Infermiere n. 3/2011

-          Orlandi C. (2012). Gli effetti degli organici infermieristici sugli esiti clinici dei pazienti. l'Infermiere n. 5/.

-          Rasero L., Di Giacomo P., Rigon L., Santin C. (2014). Competenze e prospettive per l’infermiere. Salute e territorio. Pacini Editore. 312-316.

-          Ridolfi L. (2011). Il community care quale possibile modello di integrazione socio-sanitaria a livello territoriale. Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa”. Milano, 29 Settembre – 1 Ottobre 2011.

Wagner E.H. (1998), Chronic disease management: What will it take to improve care for chronic illness? Effective Clinical Practice; 1, 2–4

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