Area etica professionale
2.10.7

Ascoltare il silenzio (2010)

ASCOLTARE IL SILENZIO

Responsabile del Polo

Coordinatori del Progetto

Abstract

Il fenomeno della violenza contro le donne è un problema non solo sociale e culturale ma comporta  importanti bisogni sanitari, a cui il personale infermieristico è chiamato a rispondere. Essendo molto diffusa (la ricerca ISTAT del 2006 indica una percentuale del 30% di donne che nel corso della loro vita hanno subito un qualche di tipo di violenza, psicologica, fisica, sessuale), la violenza contro le donne è materia anche di salute pubblica e gli esiti della violenza spesso richiedono il ricorso alle strutture sanitarie, sia nella dimensione acuta del Pronto Soccorso, sia nella dimensione a lungo termine, per le malattie e i disturbi molte volte conseguenti. Alcune situazioni di violenza (ad es. i maltrattamenti in famiglia) si articolano nel tempo e richiedono al personale di cura l’attivazione di una relazione d’aiuto complessa.

 

Quando le conseguenze della violenza portano la donna a rivolgersi alle strutture sanitarie, il più delle volte la vergogna, la paura, la preoccupazione per la propria famiglia, la rassegnazione al ruolo di vittima, la mancanza di indipendenza e autonomia, spingono la donna a chiudersi nel silenzio e a dissimulare in qualche modo i segni della violenza. Molto spesso la donna vittima di violenza non è da subito disposta a esplicitare la propria condizione di disagio: la probabilità quindi che all’interno delle strutture socio-sanitarie si incontri una donna vittima di violenza è più alta della eventualità che la stessa donna ammetta il suo disagio o che il suo disagio sia riconosciuto dai professionisti della cura.

In alcuni casi, la donna chiede esplicitamente aiuto e si rivolge alle strutture socio-sanitarie cercando accoglienza, comprensione, cura e sostegno. Molte donne vittime di violenza hanno raccontato di come spesso il personale sanitario, volutamente o inconsapevolmente, non abbia saputo vedere e di come chi si doveva prendere cura non abbia saputo ascoltare. In molti casi, quando hanno “visto”, hanno giudicato e stigmatizzato la vittima.La letteratura scientifica e quella grigia riportano che le donne vittime di violenza, nei loro percorsi all’interno delle strutture sanitarie, incontrano operatori/trici sanitari/e, (infermieri/e compresi), incapaci di stabilire una comunicazione appropriata con loro: indifferenza, invisibilità, proiezione di stereotipi, giudizio…

Il ruolo che la professione infermieristica italiana deve  avere nel determinare la qualità e l’appropriatezza degli interventi, sia nella fase acuta del bisogno sia nella prospettiva di uscita dalla situazione di disagio, richiede una crescita non solo nella capacità di rispondere ai bisogni di salute di tipo bio-medico e ai bisogni di natura medico-legale. In questo ambito, la capacità del professionista sanitario di riconoscere, accogliere, supportare e instradare verso un cambiamento è cruciale. Questo tipo di competenze non si raggiungono né si esplicano con approcci di tipo meramente tecnico, ma richiedono un’attenta sensibilizzazione, un lavoro riflessivo su di sé, un ascolto non giudicante, una capacità di accoglienza e di dialogo che sappia riconoscere ed ascoltare quel “silenzio” che la donna vittima di violenza spesso presenta come una maschera.

La ricerca vuole approfondire le informazioni sulla qualità della relazione di aiuto, di assistenza e di cura del personale infermieristico nei confronti delle donne vittime di violenza, aprendo con le donne stesse un’interlocuzione su questo tema. Si è scelto un approccio qualitativo, nell’ambito di un settore di pratiche e di ricerca abbastanza innovativo quale la Medicina Narrativa, perché si pensa che il potere esplicativo che hanno le storie personali ed i vissuti supera di gran lunga la forza dei numeri e delle statistiche. Le storie di vita ci  permettono di immedesimarci e di confrontarci con i dilemmi e con la complessità etica di un settore dell’assistenza infermieristica che mette soprattutto in discussione l’operatore e l’operatrice stessi. Il materiale di tipo qualitativo raccolto dovrà così essere in grado non solo di avviare una riflessione professionale ed etica, ma anche di fornire spunti per percorsi educativi professionali che utilizzino strumenti narrativi.

Si spera anche che la diffusione e la discussione dei materiali raccolti all’interno della comunità professionale ed oltre possa rappresentare, per le donne vittime di violenza, una qualche forma di riconoscimento, possa dare testimonianza della loro condizione e dei loro bisogni, possa costituire per la professione infermieristica un esempio di centratura sulla voce della paziente.

Background

Le statistiche illustrano che il problema della violenza sulle donne è ubiquitario: un’emergenza continua, sia a livello internazionale che nazionale. Sebbene alcune ricerche pongano in luce come la violenza interpersonale possa avvenire anche da parte delle donne nei confronti degli uomini, la violenza maschile contro le donne si manifesta con un ordine di grandezza, di intensità e di tipologia assolutamente preponderante.

 

La prevalenza di violenza maschile contro le donne, le conseguenze sul piano della salute psico-fisica,  il suo radicamento nei paradigmi culturali della mascolinità, tanto da diventare lecita o per lo meno tollerata in alcuni paesi, la sua diffusione trasversale nelle culture e nelle società del mondo rendono questo problema non solo una questione globale di sanità pubblica, come più volte ribadito dall’OMS, ma anche di civiltà.

L’entità del fenomeno sommerso è maggiore dei numeri che emergono dalle denunce e dagli accessi socio-sanitari. La questione della violenza contro le donne riguarda un arco di vita ampio che va dalla prima adolescenza fino alla compiuta maturità. Per quanto riguarda l’Italia, come riportano le curatrici della sezione del Rapporto 2006 sulla criminalità pubblicato nel 2007 dal Viminale, i dati sono impressionanti e diversificati, con in comune “la trasversalità della classe sociale e il silenzio che le circonda”.  Una donna su tre, fra i 16 e i 70 anni, ha subito nel corso della propria vita almeno una violenza fisica o sessuale. Nel corso del 2006, riferisce il Rapporto, riguardo alla stessa classe di popolazione “sono 1 milione 150.000 le donne che hanno subito violenza, pari al 5,4% delle donne dai 16 ai 70 anni. In particolare il 2,7% delle donne ha subito violenza fisica, il 3,5% violenza sessuale e lo 0,3% stupri o tentati stupri”.

Le violenze, comprese quelle sessuali, non avvengono principalmente ad opera di sconosciuti, ma si realizzano spesso nell’ambito della relazione di coppia e della  famiglia, con frequenti recidive. Soprattutto nel caso di violenze sessuali prima dei 16 anni, sono perpetrate in prevalenza da parenti stretti (il patrigno, il padre, il fratello, il nonno, lo zio). All’interno della famiglia, soprattutto a livello dei parenti, l’efferatezza delle violenze è maggiore e le ferite più gravi.

Come ci ricorda Tarantelli, un’importante studiosa del fenomeno,  “I sintomi prodotti dalla reazione alla violenza domestica e allo stupro sono addirittura più gravi e duraturi dal punto di vista psicologico di quelli prodotti dalla rapina, dalla morte tragica di parenti o amici o dall’essere stati vittime di disastri naturali. Nella scala che misura la severità della reazione al trauma, la violenza alle donne occupa uno dei primi posti”.

I dati messi a disposizione dall’ISTAT  e i dati dell’OMS sulle vittime di violenza sessuale ci forniscono un quadro da analizzare attentamente. Ad es. nell’ambito della violenza sessuale (solo una delle tipologie di violenza che una donna può subire, come ci ricorda una tassonomia della violenza dell’OMS) le vittime possono soffrire una vasta gamma di lesioni fisiche, genitali e non, o, in casi estremi, morirne. In aggiunta a ciò, aumenta per le vittime di violenza il rischio di gravidanze indesiderate, di aborti insicuri, di malattie sessualmente trasmesse, compreso l’HIV, di disfunzioni sessuali, di sterilità. Non bisogna dimenticare che le conseguenze forse più significative risiedono a lungo termine nella dimensione psicologica e che ciascun soggetto avrà la sua modalità specifica di reazione al trauma. Inoltre, le conseguenze della violenza sono anche sociali (distruzione dei legami familiari, isolamento, difficoltà ad impegnarsi nel lavoro, esigenze di cambiare residenza) ed economiche (costi sanitari e legali, assenteismo dal lavoro, mancato rendimento e produttività).

Anni fa è stata realizzata in Italia un’importante ricerca sul fenomeno dal titolo “Il silenzio e le parole”. Il “silenzio” era quello delle vittime, chiuse nella loro condizione di sofferenza, inascoltate e invisibili anche per coloro i quali avrebbero dovuto accoglierle e proteggerle dal disagio. “Le parole” erano la loro voce ritrovata, il bisogno di far sapere al mondo l’esistenza del proprio problema e la possibilità di chiedere aiuto e di essere ascoltate. In Italia sono operativi centri di eccellenza per la gestione di questo tipo di bisogno, così come sono attive esperienze locali e singoli professionisti, a testimonianza della possibilità e necessità di una risposta appropriata. Proprio ora che la società guarda con attenzione a chi ha il dovere di prendersi cura e di prendere in carico questo problema, è richiesta  condivisione e coordinamento dei saperi e delle buone pratiche infermieristiche in questo campo: bisogna “dare il nostro precipuo contributo in un ambito così delicato e socialmente importante. Il campo di intervento presenta anche delle interessanti sfide professionali, soprattutto nell’ottica delle competenze”, anche nel “realizzare interventi con un approccio integrato e di rete”, come è scritto in un articolo su questo tema apparso sulla rivista del Collegio IPASVI di Roma pochi anni fa. 

Obiettivi di progetto

Obiettivi generali
Si vuole aprire uno spazio di dialogo tra le donne vittime di violenza che hanno avuto bisogno di ricorrere alle strutture sanitarie e la comunità professionale infermieristica, con la finalità non solo di raccogliere più dettagliatamente il loro vissuto e la loro percezione dell’assistenza ricevuta ma anche di restituire loro la dignità nel riconoscimento dei loro bisogni, nel dare testimonianze delle aspettative e delle necessità deluse così come delle buone pratiche e delle azioni appropriate, allo scopo di raccogliere elementi di cambiamento e miglioramento per una piena assunzione di responsabilità da parte della comunità professionale infermieristica, ma anche dell’intero sistema di servizi sanitari.

Obiettivi specifici 

-          Raccogliere informazioni sulle esperienze concrete vissute dalle donne vittime di violenza durante il loro percorso nelle strutture sanitarie, soprattutto per quanto riguarda il riconoscere, l’accogliere, l’entrare in relazione, l’assistere, il supportare ed il tutelare da parte degli/lle operatori/trici sanitari/e coinvolti/e.

-          Definire un’ipotesi di fabbisogno, di bilancio delle competenze relazionali (soprattutto a livello infermieristico), organizzative e strutturali necessarie e mancanti, evidenziando punti di forza e criticità.

-          Fornire alle donne vittime di violenza uno strumento di espressione e di ascolto da parte della professione infermieristica e degli operatori coinvolti nei percorsi sanitari vissuti durante la loro esperienza di bisogno.

 

-          Disseminare i risultati allo scopo di incidere sui processi di miglioramento continuo dell’assistenza alle donne vittime di violenza e di presa in carico responsabile da parte del personale infermieristico.

 

Indicatori

-          Le modalità di svolgimento della ricerca (processo, strumenti, somministrazione e raccolta, elaborazione e rendicontazione, disseminazioni) rispondono ai principi deontologici del Codice deontologico IPASVI e ai principi etici di rispetto della salute della persona, della sua dignità, della riservatezza

-          Il project team produce i resoconti in itinere e consuntivi previsti dal diagramma di GANTT

-          la quantità di strumenti di ricerca compilati raccolti raggiunge il 75% degli strumenti distribuiti dalle responsabili dei CAV.

-          I tempi fissati nel diagramma di GANTT sono rispettati con uno scarto massimo di un mese dalle scadenze previste

-          La redazione di articoli (per editoria Web e cartacei) e della pubblicazione editoriale  è effettuata nei tempi previsti dal diagramma di GANTT, con uno scarto massimo di un mese

-          I risultati della ricerca sono presentati almeno ad un congresso/convegno entro un anno dalla chiusura della ricerca, con uno scarto massimo di un mese

Metodologia

Disegno dello studio

La ricerca di tipo qualitativo si sviluppa a partire da un quadro teorico vicino alla fenomenologia e all’ermeneutica, principalmente correlato alla Metodologia Autobiografica e alla sua declinazione nell’ambito della salute quale la Medicina Narrativa.

La strategia è quella di cogliere l’oggetto di studio nel contesto stesso dove esso appare come fenomeno, cercando ad esempio di far sì che i soggetti coinvolti esprimano essi stessi e alla loro maniera il senso dell’esperienza oggetto di studio. Il ricercatore si fa interprete di queste espressioni, traducendo e categorizzando i contenuti, il più possibile fedelmente e in maniera metodologicamente rigorosa, ad uso del dibattito scientifico e culturale. Nello stesso tempo, si dà valore e spazio al discorso originale così come espresso dai soggetti della ricerca.

Nel campo della ricerca sanitaria sulla violenza contro le donne, l’approccio qualitativo vuole dare testimonianza del punto di vista della vittima nei confronti dei suoi bisogni di salute e di come ad essi sia data risposta. Dare parola alle dirette interessate riesce a rendere conto della complessità e della globalità bio-psico-sociale dei bisogni implicati. Proprio per evitare il rischio di dispersione, l’area di indagine è per questo circoscritta a poche domande specifiche di interesse infermieristico: “Come vivono le donne vittime di violenza i percorsi sanitari?”, “Qual è la percezione dell’atteggiamento nei loro confronti da parte del personale infermieristico e sanitario?”.

L’approccio qualitativo, inoltre, risulta appropriato per studiare in modo intensivo un numero abbastanza ristretto di casi (le donne ospiti dei Centri Anti-violenza rispetto all’insieme delle donne vittime di violenza), una tipologia particolare di vittime di violenza (donne che hanno scelto di intraprendere un percorso di uscita dal disagio rispetto al totale delle donne che sceglie di non denunciare né di riconvertire la propria vita), ma che risulta molto appropriato rispetto al focus della ricerca (donne capaci di prendere la parola, di autodeterminazione). Inoltre, la caratteristica dell’approccio qualitativo è di esplicitare il soggetto ricercatore non come elemento neutro, ma come forza implicata con le sue appartenenze sociali, i valori, gli interessi, le esperienze. E’ un punto di forza importante nel momento in cui si vogliono evidenziare dimensioni della questione che siano rilevanti per la professione infermieristica stessa.

Il grado di generalizzabilità delle risultanze è inversamente proporzionale alla capacità del materiale raccolto di generare interrogativi, di mettere in discussione i paradigmi della professionalità, di suscitare emozione e apprendimento. Proprio in ragione del fatto che la ricerca vuole essere anche un momento di restituzione dell’ascolto e dell’accoglienza alle donne vittime di violenza (e quindi il partecipare stesso alla ricerca è già un momento di rivalsa rispetto alla situazione originaria) e uno stimolo per un cambiamento nella professionalità del personale infermieristico, la ricerca può essere considerata appartenente alla tipologia della Ricerca-azione, ossia una strategia finalizzata anche nel suo processo stesso a trovare soluzione ad un problema in maniera partecipata tra soggetti ricercatori e soggetti coinvolti nella ricerca.

La Metodologia Autobiografica pone al centro dell’attenzione l’attitudine degli esseri umani a raccontare, a raccontarsi e a costruire in questo modo la propria identità e il proprio senso esistenziale. La Medicina Narrativa ne declina gli aspetti nell’ambito delle esperienze di malattia e di cura. La chiave di volta è nel prendersi cura delle storie di malattie e restituire ai soggetti coinvolti il diritto alla propria autobiografia.

Campione

La ricerca coinvolge, in modo volontario, le donne vittime di violenza seguite da Centri di Accoglienza e di Ospitalità dell’area della Provincia di Roma.  Le donne vengono selezionate dalle responsabili dei Centri Antiviolenza in base all’opportunità di affrontare il ricordo e l’espressione di esso rispetto al percorso di uscita dal disagio. A discrezione e su indicazione delle responsabili dei Centri, possono essere contattate anche donne che hanno transitato nei Centri di Accoglienza e non ne sono ospiti. Le testimonianze sono raccolte nell’intervallo di tempo previsto nel progetto (fase 3 – durata sei mesi). Non è possibile calcolare la responsività a priori, ma si prevede un campione numericamente interessante in considerazione del numero di donne che contatta i Centri Antiviolenza (ad es. per il 2006, l’attività di accoglienza e ospitalità dei centri gestiti dall’Associazione Differenza Donna ha interessato 1500 donne, di cui quasi il 70% italiane).

Strumenti

Utilizzo di un dispositivo di scrittura autobiografica finalizzato a facilitare la ricostruzione e la descrizione dell’esperienza oggetto dello studio. 

Procedure

Il dispositivo è definito e validato a livello metodologico, deontologico ed etico.

La somministrazione  è effettuata dalle responsabili dei Centri Anti-violenza, che selezionano il campione, scegliendo le partecipanti in base all’appropriatezza non solo rispetto allo stato di salute psico-fisica ed esistenziale.

Il gruppo di ricerca raccoglie e studia il materiale autobiografico secondo le metodologie qualitative di analisi dei testi.

Il materiale autobiografico è reso pubblicabile con un’opera di editingche rispetti i requisiti letterari, deontologici, di privacy e di tutela medico-legale.

Risultati attesi

o    Raccolta pubblicabile di storie di cura, vissuti e percezioni di donne vittime di violenza che hanno contattato strutture sanitarie, utilizzabili per la riflessione e la formazione di competenze organizzative, relazionali ed emozionali.

o    Risultanze aggregate di tipo qualitativo sulla qualità dei percorsi assistenziali, sull’atteggiamento del personale infermieristico e sanitario.

o   Avvio di relazione istituzionale tra il Collegio IPASVI e le associazioni di tutela e di accoglienza delle donne vittime di violenza.

Indicatori

Numero di storie pubblicabili raccolte

Articoli scientifici e pubblicazioni

Presentazioni e Partecipazioni a congressi

Rilevanza

Data la diffusione del fenomeno della violenza, già da tempo è stato chiesto, sia a livello  nazionale che internazionale, alle professioni sanitarie coinvolte di promuovere un miglioramento della capacità di riconoscimento del fenomeno, di accoglienza, di ascolto, di supporto che vada oltre la mera esecuzione di gesti tecnici. La ricerca intende costituire un punto di partenza in tal senso e, nello stesso tempo, dare visibilità all’intenzione della professione infermieristica di assumersi una responsabilità nel contrasto ai fenomeni di violenza e nella risposta ai bisogni di salute da essi generati.

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