Area etica professionale
2.11.5
Migliorare l’integrazione tra infermieri stranieri e figure socio-sanitarie (2011)
Responsabile del Polo
Coordinatori del Progetto
Abstract
La professione infermieristica nei contesti dinamici e in-stabili che caratterizzano la post-modernità si contraddistingue per mutamenti profondi e sostanziali che concernono sia il contributo epistemologico e fattuale specifico all’interno dei sistemi sanitari, sia la relazione con il cittadino [1, 2].
L’avvento della “società complessa”, in altre parole plurale, dismorfica, asimmetrica, non lineare, dinamica, multidimensionale, il suo irrompere in forme, modelli e tendenze che la fanno somigliare spesso ad un’immensa rete di significati, pone la necessità della riflessione e del confronto per riformulare le scelte dell’operatore sanitario, per riposizionare l’infermiere e le sue competenze all’interno delle organizzazioni sanitarie. La società plurale, caratterizzata dal superamento delle visioni unilineari dell’esistenza, dal superamento della frammentarietà dei singoli saperi, dall’approccio interdisciplinare alla soluzione dei problemi, dal profondo cambiamento dell’esperienza del tempo e dello spazio per tutti gli abitanti del nostro pianeta, dall’aumento vertiginoso delle comunicazioni con la crescita delle reti digitali, dall’interdipendenza economica sempre più accentuata e dal rimodellamento continuo delle identità personali e collettive, oltre a cambiare senza soluzione di continuità, produce nuove identità, sempre in divenire, anche in relazione alle maggiori possibilità di contatto con le diversità portate da individui provenienti da tutto il mondo. Questa situazione impone al professionista infermiere di sviluppare nuove competenze per rispondere ai bisogni di assistenza infermieristica della persona e per lavorare a fianco di colleghi provenienti da molti paesi diversi [3]. Il nostro mondo simultaneo frutto della rivoluzione informatica, e dell’interdipendenza dei paesi poveri da quelli opulenti occidentali ha proiettato le persone portatrici di culture “altre” al nostro fianco.
La transculturalità infermieristica è un fenomeno in crescita destinato a modificare non soltanto la relazione professionale tra infermieri e tra infermieri e professioni socio-sanitarie, ma anche il rapporto tra il professionista e il cittadino dato che la relazione tra l’infermiere ed il paziente non può non contenere forme di adattamento, socialmente e culturalmente condizionate [2]. Con questi scopi è nata l'Associazione Infermieristica Transculturale (A.I.T.), una società scientifica senza scopo di lucro, apartitica, che persegue finalità solidaristiche, attiva nei campi della tutela dei diritti civili, della ricerca scientifica, dell'integrazione degli infermieri di ogni nazionalità che operano nel nostro Paese.
L'obiettivo della Società Scientifica, la prima del genere in Italia, consiste nell'ideazione, nello sviluppo e nella realizzazione di progetti e programmi di ricerca infermieristica particolarmente orientati ad iniziative socio-educative e culturali, nel rispetto della dimensione umana e spirituale della persona, contro qualsiasi forma di emarginazione di carattere religioso, politico, economico, di genere, di età e di cittadinanza.
Proprio in questo quadro strutturale l'iniziativa di indagare più approfonditamente i motivi e le relazioni che investono gli infermieri provenienti dall’area sudamericana con le figure professionali sanitarie autoctone diventa ineludibile per promuovere standard di caring di qualità a garanzia dell’assistenza offerta al cittadino.
Background
Nella società complessa in cui l’infermiere si trova ad esperire la sua opera professionale, la sua nozione d’identità professionale è multipla, dinamica e riflette la varietà di fili intrecciati che si strutturano nella sua formazione professionale e nel suo processo di educazione continua in medicina. L’identità professionale sempre cangiante, ibrida, fuzzy[1] [4, 5] presuppone un nuovo processo d’identità professionale non più caratterizzato da schemi di riferimento noti e rassicuranti, dal lavoro nello stesso ospedale e nella stessa unità operativa per un lungo periodo di tempo o per tutta la vita, ma una realtà fatta di nuove sfide e scommesse, un mondo fatto di ricerca infermieristica, di lifelong learninge lifewide learning[2], di specifico infermieristico esperito in autonomia e nel contempo in forte integrazione con gli altri attori del processo di cura.
In Italia si sono registrati diversi ritardi nel processo di professionalizzazione della figura dell’infermiere, soprattutto se il confronto è realizzato con i paesi avanzati in particolar modo anglosassoni.
Nel corso degli anni ’70-’80 del secolo scorso, nel nostro paese l’infermiere lamentava ridotti spazi di autonomia e deficit di responsabilità, tale per cui il suo ruolo era limitato a quello di esecutore di interventi decisi da altri (prevalentemente, medici) [6].
Nel corso degli anni Novanta, importanti trasformazioni hanno coinvolto la professione infermieristica: si pensi, per esempio, ai cambiamenti che hanno caratterizzato il percorso formativo (dal 1996, di carattere universitario), all’approvazione del profilo professionale (D.M. 739/94), all’abolizione del mansionario (L. 42/99), al riconoscimento della dignità di professione al pari di altri profili e all’approvazione del Nuovo Codice Deontologico nel 1999 e poi nel 2009 [6, 7, 8].
Si può così affermare come l’identità dell’infermiere sia oggi sempre più orientata in senso professionale [1] ed egli «assolve ad un’assistenza o eroga un servizio di tipo preventivo, curativo, palliativo e riabilitativo, assumendo decisioni proprie e lavorando in équipe. La relazionalità messa in campo con il malato, col paziente o col cittadino è di tipo sia tecnico sia umano con valenze anche educative» [ibidem: 11].
Quanto appena affermato trova riscontro nei risultati emersi da una importante ricerca nazionale[3] diretta da Cipolla e Artioli [9]: nello studio emerge chiaramente un orientamento della prestazione di assistenza rivolta al paziente (patient-centred intervention), tanto che l’87% dei rispondenti ha dichiarato di spendere energie nell’interpretare e tenere in considerazioni i bisogni del cittadino assistito. La relazione si realizza attraverso un approccio integrato alla persona volta a coinvolgere anche le reti primarie [10]. In altri termini, emergono tendenze a considerare sempre più l’aspetto umanistico della personalizzazione delle cure, sebbene lo studio riveli d’altro canto un orientamento nella direzione di una formazione sempre più tecnica.
Nonostante i segnali positivi, il percorso empirico ha rivelato la presenza di nodi problematici: infatti, gli intervistati hanno lamentato uno scarso riconoscimento sul piano lavorativo, mancanza di potere decisionale, ridotto senso di appartenenza alla categoria, scarsa considerazione da parte dell’opinione pubblica, ruolo residuale rispetto alla dominanza medica, problemi derivanti dall’essere in numero insufficiente rispetto alle necessità di cura e assistenza dei pazienti.
Nel complesso emerge «una professionalità a base metodologica-scientifica […] che fa della procedura flessibile ed orientata all’altro (il paziente) il perno delle proprie competenze e del proprio agire, che cerca di mediare fra management organizzativo e presa in carico del malato, che agisce per progettazione, che non è completamente estranea alla ricerca» [2: 21].
Un fenomeno ancora trascurato dalla ricerca scientifica nel nostro paese è quello della transculturalità infermieristica, ovverosia lo scenario frutto dei processi immigratori che coinvolgono la presenza di infermieri stranieri sul nostro territorio.
Secondo il rapporto della Federazione Nazionale Collegi Ipasvi del 2009 [11], gli stranieri rappresentano una componente non trascurabile degli infermieri professionali, dato che alla fine del 2008 risultavano iscritti ai Collegi 33.364 soggetti provenienti da quasi tutti i paesi del mondo anche se in percentuali differenti. L’analisi rivela che essi lavorano soprattutto nel centro-nord (82,1%) e sono nel 42,3% extracomunitari. Complessivamente, gli stranieri rappresentano il 9,4% degli iscritti al Collegio nazionale, con maggior concentrazione nel nord-est (12%) e minore nelle sud e nelle isole (5%). Gli iscritti stranieri risultano mediamente 3 anni più giovani dei colleghi italiani (età media: 39,2% vs 42,4%).
I cittadini comunitari iscritti risultano essere 19.254 contro i 14.110 extracomunitari. Fra questi ultimi, 11.658 sono femmine, 2.452 maschi.
Si segnala come il fenomeno di immigrazione di infermieri stia subendo un incremento, tanto che nel 2008 il 28,4% delle nuove iscrizioni presso i collegi provinciali IPASVI sono state sottoscritte da stranieri. In questo caso, i maggiori incrementi si registrano nel nord ovest (35,5% di iscrizioni di stranieri sul totale dei nuovi iscritti) e nel sud (42,3%). I nuovi iscritti sono soprattutto di genere femminile e l’età media si colloca sui 32 anni.
Rispetto al paese di provenienza degli stranieri, emerge come dal 2004 al 2008 si sia consolidato un flusso proveniente soprattutto dalla Romania, dato che nel periodo indicato si sono iscritti 7.670 infermieri rumeni, pari al 42,2% dei nuovi iscritti stranieri. Con un divario notevole, seguono gli infermieri polacchi (2.487 nuovi iscritti, pari al 13,7% dei nuovi iscritti stranieri), peruviani (1.259 unità, pari al 6,9%), albanesi (869 unità, pari al 4,8%), indiani (611 unità, pari al 3,4%).
1. Cfr. Pizzaleo [2004]. I rimandi bibliografici potrebbero essere ampliati.
2. Con questa espressione si vuole intendere un apprendimento permanente che coinvolga il professionista infermiere per tutta la lunghezza della vita professionale così come sancito dal legislatore con l’istituzione del programma di Educazione Continua in Medicina e che abbracci tutti gli aspetti educativi quelli formali, quelli non formali e quelli informali.
3. La ricerca ha coinvolto 2.141 infermieri intervistati tramite questionario strutturato.
Obiettivi di progetto
Obiettivi generali
Coerenza con i fini istituzionali del Collegio per una migliore promozione di ambienti di lavoro caratterizzati da cooperazione e collaborazione tra professionisti italiani e provenienti da setting culturali altri e dove si possano esprimere l’educazione, la relazionalità e la tecnicità dell’assistenza con una valutazione critica dei bisogni e della loro evoluzione, in modo da sviluppare una maniera diversa di approccio alla cultura non solo per processi di astrazione, ma soprattutto per immersione nei dati percettivi e coinvolgere dialogicamente la persona altra, portatrice di valori e costumi diversi, nel desiderio di salute [3]. Ciò significa analizzare, dal punto di vista della competenza assistenziale, gli aspetti valoriali connessi al nursing interculturale [12] per arrivare ad una comprensione dialogica, interpretata delle tensioni emotive che sorgono in situazioni assistenziali dove l’alterità è un aspetto importante del rapporto professionista/professionista e professionista/utente.
- Tale progetto si inquadra nell’ambito di una iniziativa strategica, che potrebbe produrre un alto ritorno di immagine per la professione infermieristica e per l’implementazione di setting assistenziali dove l’integrazione tra professionisti provenienti da culture altre e autoctoni costituisca una ricchezza e un’opportunità per un miglior risultato di salute per il cittadino.
- Pubblicazione di un libro e un articolo di ricerca e possibilità di continuare lo studio con altri infermieri stranieri provenienti dalle aree est europee, ad esempio (Romania, Polonia). Tali infermieri hanno un elevato impatto numerico nel lavoro in Italia. Rispetto al paese di provenienza degli stranieri, emerge, infatti, come dal 2004 al 2008 si sia consolidato un flusso proveniente soprattutto dalla Romania, dato che nel periodo indicato si sono iscritti 7.670 infermieri rumeni, pari al 42,2% dei nuovi iscritti stranieri. Con un divario notevole, seguono gli infermieri polacchi (2.487 nuovi iscritti, pari al 13,7% dei nuovi iscritti stranieri) [11].
Obiettivi specifici
Comprendere approfonditamente i fattori di integrazione o mancata integrazione degli infermieri provenienti dall’area sud americana nel contesto italiano.
- Comprendere i fattori di soddisfazione/insoddisfazione lavorativa anche comparati con il Paese di provenienza.
- Comprendere l’impatto che gli infermieri stranieri, in particolare provenienti dall’area sud-americana, hanno avuto con l’organizzazione sanitaria italiana e gli eventuali problemi di comunicazione.
Indicatori
- Evidenziare indicatori di integrazione o mancata integrazione tra infermieri stranieri, in particolare provenienti dall’area sud-americana e il personale sanitario autoctono.
- Evidenziare la correlazione tra progetti migratori ed integrazione lavorativa tra infermieri stranieri, in particolare provenienti dall’area sud-americana e il personale sanitario autoctono.
Metodologia
Tale studio può essere sviluppato come uno studio quantitativo che coinvolge infermieri operanti in realtà sanitarie pubbliche o private del centro Italia che possono essere reclutati tramite database in possesso dell’Associazione Infermieristica Transculturale e del Collegio Ipasvi di Roma.
Lo studio prevede due macro-fasi:
-la prima consiste nell’indagine di sfondo, volta ad analizzare la letteratura scientifica, nazionale ed internazionale, prodotta in relazione al tema oggetto di indagine; inoltre, in questa fase si raccoglieranno, attraverso fonti secondarie, dati riguardanti la presenza di infermieri stranieri in Italia e la loro condizione (caratteristiche socio-anagrafiche, provenienza, collocamento geografico, aree di intervento, partecipazione all’associazionismo professionale);
-nella seconda fase, si somministrerà a infermieri italiani e stranieri provenienti dall’area sud-americana un questionario strutturato [13] al fine di poter rilevare le principali differenze tra i due gruppi. Si ipotizza di inserire domande parzialmente diverse ai due campioni garantendo ad ogni modo la comparabilità delle risposte.
L’individuazione delle persone da intervistare seguirà i criteri di un campionamento logico-rappresentativo per quote, garantendo la rappresentatività rispetto al paese di provenienza nell’ambito del Sud-america per gli stranieri. La somministrazione sarà preceduta da pre-test volti alla validazione dello strumento .
Campione
Si suppone di raccogliere 400 questionari compilati da infermieri italiani e 300 questionari compilati da infermieri stranieri provenienti dall’area sud americana.
La modalità di somministrazione si avvarrà di fonti dell’Associazione Infermieristica Transculturale e del Collegio Ipasvi di Roma.
Strumenti
Un questionario strutturato al fine di poter rilevare le principali differenze tra i due gruppi. Si ipotizza di inserire domande parzialmente diverse ai due campioni garantendo ad ogni modo la comparabilità delle risposte.
Procedure
La somministrazione del questionario sarà preceduta da pre-test volti alla validazione dello strumento e sarà effettuata presso il Collegio Ipasvi di Roma in un lasso di tempo adeguato (non inferiore ai due mesi).
Risultati attesi
Esaminare le principali differenze tra infermieri italiani e infermieri stranieri provenienti dall’area sud-americana in termini di percorsi formativi, status professionale, competenze professionali e linguistiche richieste, differenze riscontrate nell’assistenza tra il paese di provenienza e l’Italia, principali indicatori di soddisfazione/insoddisfazione professionale. Di fronte alla crescente complessità del mondo che mette a confronto situazioni globali e locali [14] e che vede il coesistere di culture differenti, il contesto italiano si presenta, quindi, sempre più ricco di professionisti infermieri portatori di esperienze e culture diverse ma anche di persone che provengono nazionalità differenti.
Partendo da questa consapevolezza, il processo di integrazione tra culture diverse, deve svilupparsi in due differenti direzioni, verso il paziente altro e verso il collega infermiere che proviene da paesi diversi. Secondo il rapporto dell’European Migration Network 2009, gli infermieri stranieri - rispetto ai quasi 370.641 infermieri totali, rappresentano circa il 10% della forza lavoro, e trovano impiego soprattutto nel settore della sanità privata, nelle case di riposo e negli istituti per anziani e per persone disabili non autosufficienti. La loro presenza per fattori diversificati sarà sempre più cospicua negli anni a venire vista anche la cronica carenza di personale infermieristico in Italia che si attesta tra i Paesi avanzati con un rapporto molto basso infermieri/per abitante[1]. Quindi, la facilitazione del processo di integrazione tra culture diverse è sempre più attuale e doverosa, per garantire quell’individualità e soggettività dell’assistenza, peraltro presagita da molti decenni da tutti gli studiosi e teorici del nursing. Con la nascita dell’A.I.T. (Associazione Infermieristica Transculturale) il contesto sociale dell’integrazione tra professionisti infermieri e con le altre figure sanitarie, è affrontato scientificamente con asserzioni epistemologiche che tendono a dimostrare la forte presenza di persone e di operatori sanitari portatori di culture altre e di valori, abitudini, costumi che formano un tutt’uno inestricabile rispetto alla società ibrida con-temporanea [15]. La piena integrazione di queste differenze è la strada che bisogna seguire. Bisogna essere consapevoli che è una strada lunga e tortuosa ma che si può senz’altro tracciare e percorrere se viene costruita insieme, con l’apporto ed il contributo degli operatori sanitari, delle comunità, dei singoli individui, con delle ricerche che tendono ad esplorare il fenomeno.
Indicatori
- Evidenziare indicatori di integrazione o mancata integrazione tra infermieri stranieri, in particolare provenienti dall’area sud-americana e il personale sanitario autoctono.
- Evidenziare la correlazione tra progetti migratori ed integrazione lavorativa tra infermieri stranieri, in particolare provenienti dall’area sud-americana e il personale sanitario autoctono
Rilevanza
- Evidenziare indicatori di integrazione o mancata integrazione tra infermieri stranieri, in particolare provenienti dall’area sud-americana e il personale sanitario autoctono.
- Evidenziare la correlazione tra progetti migratori ed integrazione lavorativa tra infermieri stranieri, in particolare provenienti dall’area sud-americana e il personale sanitario autoctono
3. Secondo il rapporto dell’European Migration Network [2009], basato su dati Ipasvi, l’Italia per adeguarsi alla media OCSE di 8,9 infermieri per 1000 abitanti dovrebbe avere altri 71.000 infermieri, la media in Italia anche se risalita (6 infermieri per 1000 abitanti) rispetto al 2005 (5,4 infermieri per 1000 abitanti) è tra le più basse dei Paesi avanzati.
Bibliografia
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