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Donna e professione infermieristica: immagine dell’infermiera nel periodo fascista dal 1935 al 1943

2.19.13

Donna e professione infermieristica: immagine dell’infermiera nel periodo fascista dal 1935 al 1943

Donna e professione infermieristica: immagine dell’infermiera nel periodo fascista dal ’35 al ’43. “Comparazione tra stereotipi femminili del regime e la figura dell’infermiera”.

Responsabile del Polo

ABSTRACT

Background: Lo studio intende effettuare una prima indagine sistematica attraverso una fonte primaria, per comprendere il processo di definizione della figura infermieristica che, legata a questioni di genere, sembra assumere per la prima volta nel periodo considerato contorni di rigore scientifico.  La ricca normativa fascista in ambito assistenziale sembra essere stata catalizzatrice di un nuovo processo di professionalizzazione.

Ricerche mostrano come vi sia una diretta relazione tra un’immagine professionale infermieristica negativa, anche associata a stereotipi femminili, e qualità delle performance lavorative con dirette ricadute sulla qualità dell’assistenza erogata, ridotta attrazione verso la professione ed insoddisfazione lavorativa. Sebbene la storiografia offra spunti di lettura sull’immagine dell’infermiera-donna nel periodo fascista, ad oggi non si registrano studi di ricerca per il focus in esame.

Materiali e Metodi: La ricerca esamina, con l’applicazione del metodo storico ed analisi automatica dei dati testuali (AADT) con software Iramuteq, gli articoli, dal 1935 al 1943, dell’unica Rivista di categoria infermieristica del tempo: “L’Infermiera Italiana”.

Risultati attesi: Definire l’immagine delle Infermiere Diplomate e comprendere la relazione tra stereotipi femminili legati alla figura infermieristica del tempo e la sua immagine professionale attraverso la ricostruzione dell’identità professionale, che si è andata delineando nel periodo fascista.

Parole chiave: Infermiere diplomate, immagine, genere, figura infermieristica

BACKGROUND

La storia dell’assistenza infermieristica restituisce alla professione la sua evoluzione storico-culturale e individua le radici identitarie su cui si fonda la moderna assistenza (1).

Manzoni afferma che comprendere attraverso le fonti come e perché siamo passati, dall’esperienza personale dei riformatori e di Florence Nightingale, dalle Direttrici di Scuola Convitto per infermiere ad una disciplina scientifica, significa capire l’uomo con le sue necessità di assistenza infermieristica (1).

Il concetto di immagine, ovvero “quell’insieme di proprietà e attributi conferiti agli individui, frutto di una complessa interazione tra il piano individuale e quello sociale” (2) se legati secondo Dignani et al. ad un’immagine pubblica basata su stereotipi a connotazione negativa non solo riduce l’attrazione verso la professione infermieristica, ma determina negli infermieri stessi frustrazione stress ed insoddisfazione lavorativa, e aumenta l’intenzione di abbandono nei diversi contesti lavorativi. L’auto-percezione di un’immagine negativa da parte degli infermieri risulta associata alla riduzione delle performance lavorative con dirette ricadute sulla qualità dell’assistenza erogata (3). Capone, seppur in presenza di una limitata dimensione campionaria, afferma che la percezione pubblica dichiara la figura d’infermiere affidabile ed onesta, ma al contempo non le vengono riconosciute a pieno le sue competenze, le conoscenze necessarie, e le sfide intellettuali (4).

Il progetto intende porre la propria attenzione sull’immagine delle Infermiere Diplomate o Professionali nel fascismo (ricomprendendo in esse le Caposala, le Direttrici Infermiere e le Assistenti Sanitarie Visitatrici), così qualificate dal Regio Decreto Legge 15 agosto 1925, n. 1832 e con il regolamento di attuazione R.D. 2330/1929 (5), in particolare dal 1935 al 1943, anni caratterizzati da ricche trasformazioni e marcate contraddizioni, nella quale le donne vivevano in una condizione di piena subordinazione (6).

 “Il fascismo propose un modello femminile, quello di moglie e di madre prolifica, funzionale alla creazione dello Stato totalitario, che doveva però fare i conti con la presenza delle donne in tutti i settori lavorativi. Il regime agì con la propaganda, l’educazione, l’organizzazione di associazioni strettamente legate ai lavori femminili, e con provvedimenti legislativi al fine di fare accettare alle donne una riduzione dello spazio lavorativo a quei settori di cura, considerati adatti alla natura delle donne” (7).

Sembra delinearsi un parallelismo tra ruoli rigidi e predeterminati per la donna e gli schemi di una figura infermieristica concepita e normata in base al genere.

Dalla storiografia emerge inoltre come il fascismo abbia enfatizzato l’immagine dell’infermiera signorina veicolata in origine dall’opera di Florence Nightingale (8). In particolare, «[…] la naturale predisposizione della donna ad essere infermiera diventò un fattore determinante nell’impostazione data alle scuole di preparazione professionale nate sul suo esempio […]» (9). Secondo la convinzione che «la donna sarebbe infermiera per vocazione naturale» (10), il governo fascista confermò quanto previsto dal RD del 15 agosto 1925 e quindi la preclusione agli uomini dell’accesso alle Scuole convitto che rimasero per Signorine Infermiere.  

Si tratta di un orientamento che era stato seguito anche in precedenza dalla Commissione ministeriale sulla riforma infermieristica del 1918 (11). Al contrario, il Regolamento per il personale salariato degli ospedali e dei manicomi del 1921 prevedeva anche per i maschi la possibilità di accedere ai corsi istituti dalle amministrazioni ospedaliere (12).

La successiva impostazione ideologica fascista si sarebbe mossa ancora in controtendenza, con la sparizione della figura maschile nell’assistenza (13) e la costruzione di un’immagine infermieristica intrinsecamente legata a valori e prerogative femminili (9).

La sostituzione di personale maschile con quello femminile, la cui maestranza era meno costosa, fu una delle misure che insieme ad altre il fascismo adottò nei primi anni dalla sua instaurazione per contenere la grave crisi economica ospedaliera che ebbe origine negli anni di belligeranza, in seguito alla pressante richiesta di cure dei feriti della Grande Guerra (14). Sulla scia dei nuovi progressi in campo medico, si avvertì l’esigenza di una riforma assistenziale italiana, che mosse i suoi primi passi con l’istituzione nel 1918 di una Commissione, la stessa precedentemente enunciata, che ritraeva conclusioni non troppo distanti da quelle emerse da un’indagine condotta da Anna Celli nel 1908. Si “[…] metteva in evidenza i vari risultati conseguiti dalla Riforma in Gran Bretagna e auspicava l’applicazione anche nel contesto italiano dei principi della Riforma, specie in merito alla formazione del personale infermieristico […]” (15). La necessità di una nuova figura infermieristica si concretizzò almeno a livello normativo con il R.D.L. 1832/1925 e con il regolamento di attuazione R.D. 2330/1929, prevedendo del personale tecnicamente e moralmente preparato rispetto al passato (9).

In realtà il binomio donna ed assistenza rimase un progetto difficile da realizzare per il regime, la lenta formazione delle Infermiere Diplomate nelle scuole convitto, così come quella delle Assistenti Sanitarie Visitatrici (d’ora in poi A.S.V.), riservate al solo genere femminile, non permetterà la graduale sostituzione del personale maschile, la cui presenza sarà destinata ad assolvere al compito di assistenza diretta dei malati (12). 

Fu per opera dei Fasci Femminili (una struttura che raggruppava tutte le organizzazioni femminili del tempo) che nel 1929 vide al suo interno la nascita dell’Associazione Infermiere Diplomate ed Assistenti Sanitarie, che rappresentò il germe da cui ne derivò il Sindacato di categoria. Nel 1931 l’Associazione passò dai Fasci Femminili alla Confederazione Fascista dei Professionisti e degli Artisti, rappresentando un primo riconoscimento ufficiale della professione. Infine, nell’anno 1933, le Infermiere Diplomate ottennero il riconoscimento giuridico (8). Sebbene la storiografia offra spunti di lettura sull’immagine dell’infermiera donna nel periodo fascista, ad oggi non esistono studi di ricerca infermieristica volti, come indicato in Polit & Beck (16), a raccogliere con sistematicità dati attraverso una loro valutazione critica.

OBIETTIVI DI PROGETTO

Obiettivi generali

L’obiettivo generale di questo progetto è duplice:

1) Descrivere l’immagine dell’Infermiera Diplomata, quale donna, dal 1935 al 1943, anni in cui venne pubblicata la Rivista “L’Infermiera Italiana”

2) Comprendere la relazione tra la femminilizzazione della figura infermieristica e costruzione dell’immagine professionale.

Obiettivi specifici

1) Analizzare la legislazione fascista ed il dibattito contenuto nella Rivista in esame e le ricadute sulla definizione di figura infermieristica; comprendere le dinamiche che intervengono nella definizione d’immagine professionale.

2) Osservare in che misura gli stereotipi femminili legati al regime e al contesto storico-sociale del tempo abbiano influenzato la costruzione dell’immagine professionale nel periodo dal 1935 al 1943.

METODOLOGIA

Per raggiungere gli obiettivi della ricerca ci si avvarrà di una fonte primaria, rappresentata dall’unica Rivista di categoria dell’epoca, “L’Infermiera Italiana”, Organo Ufficiale del Sindacato Nazionale Fascista delle Infermiere Diplomate, edita dal 1935 al 1943, reperita integralmente presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ad eccezione dell’anno 1942, rinvenuto da fonte privata e in forma parziale (17).

Nell’analisi gli articoli inclusi nella ricerca, saranno suddivisi in due file-corpus, rispettivamente quello relativo agli articoli della Rivista dal 1935 al 1938 ed il corpus riguardante gli articoli del periodo 1939-1943, che ai fini della ricerca delineeranno i due diversi scenari storici attraversati dalla nazione: prebellico e bellico, per delineare negli anni il profilo di immagine infermieristica fascista.  La ricerca si avvarrà metodologicamente di “[…] una particolare strategia di analisi denominata Analisi Automatica dei Dati Testuali (AADT) attraverso il software open source Iramuteq […] le cui letture avvengono con modalità automatiche nel corso dell’analisi e consentiranno anche grazie alle analisi multidimensionali di arrivare ad estrarre i mondi lessicali sottostanti […]” il corpus (18).

In ordine sequenziale si espongono per chiarezza le 7 fasi statistico-informatiche individuate dalla Fraire (18) (19) e che saranno impiegate nell’AADT per entrambi i corpus per un loro confronto, al fine di far emergere dimensioni semantiche e della sintassi talvolta inattese, soggiacenti agli stessi dati testuali permettendo di ampliare la visione d’insieme dei concetti oggetto di ricerca (figura 1)

 

Figura 1. – Mappa concettuale delle 7 fasi statistico-informatiche di Analisi Automatica dei Dati Testuali (Fraire, 1994, Fraire et al. 2016)

 

Procedendo ordinatamente in applicazione alla mappa concettuale sovra rappresentata (18) la 1^ fase comporterà sul piano metodologico una scrematura di tutti gli articoli presenti nella Rivista per gli anni di riferimento. Con riferimento alla 2^ fase dell’analisi quali-quantitativa dei dati testuali, verrà effettuata una pulizia del corpus seguendo le regole del software utilizzato, Iramuteq. Ancora, nella 3^ fase saranno effettuate codifiche a posteriori scegliendo le unità di analisi su cui effettuare il conteggio lessicometrico, seguirà la disambiguazione tramite lemmatizzazione (per il riconoscimento delle categorie grammaticali quali: aggettivi, verbali, articoli ecc.) e verrà operato un bilancio lessicale del corpus.

Passando alla 4^ fase verrà scelta la tabella dei dati lessicali detta forme ϰ parti o testi di contingenza. Per la scelta della metrica trattandosi di tabelle di contingenza sarà selezionata quella del χ² (5^ fase). Nella scelta del metodo di AADT verrà applicata la tecnica multidimensionale della cluster analysis e quella dell’analisi delle corrispondenze (6^ fase). La 7^ fase offrirà una restituzione di output numerici e grafici dei risultati, attraverso l’utilizzo dei dendrogrammi per la cluster analysis e dei piani fattoriali per l’ACM (Analisi delle Corrispondenze Multiple). Inoltre mediante il software Iramuteq sarà prodotto uno specifico grafico per ciascun corpus lessicale, nella fattispecie la nuvola lessicale (word-cloud).

L’analisi qualitativa si servirà del metodo storico suggerito da Federico Chabod (20) solo per la parte di accertamento di autenticità della Rivista attraverso l’esame intrinseco ed estrinseco della fonte, poiché la fase interpretativa verrà sostituita con l’analisi automatica dei dati testuali (AADT).

Lo studio applicherà l’approccio concettuale elaborato da Barbara J. Risman (21) centrato sulla questione di genere, che analizzerà tutte le dimensioni che definisce come parte di un processo di costruzione dell’immagine legato alla donna, quindi esportabile alla questione delle Infermiere Diplomate, la cui attività era aperta alle sole donne.

Secondo la Risman, il genere va considerato come una struttura sociale che opera simultaneamente su tre livelli o come meglio lei definisce dimensioni. Tutte fortemente interconnesse tra loro e di egual importanza, sono state oggetto di indagine e hanno riguardato: il livello individuale, nello sviluppo della costruzione del sé legato al genere, il livello sociale ovvero il sistema delle interazioni sociali, delle aspettative culturali, delle norme di comportamento e quello istituzionale, concernenti le leggi, la distribuzione delle risorse e alle pratiche organizzative. Il livello istituzionale, attraverso il quale si è analizzato come il regime e l’ideologia politica fascista abbia creato condizioni sociali nell’organizzazione del lavoro in ambito infermieristico e vincoli legali, leggi di categoria professionale che hanno informato tutti gli addetti ai lavori in sanità, comprese le stesse infermiere, sull’immagine professionale prevista dalle istituzioni, riconosciuta e reputata più “idonea”, dalla quale hanno originato interazioni e aspettative socio-culturali.

RISULTATI ATTESI

Questo progetto potrà definire l’immagine delle Infermiere Diplomate in considerazione della fervente attività legislativa di categoria del Regime ampiamente dibattuta nella Rivista “L’Infermiera Italiana”. Ciò permetterebbe di sviluppare una riflessione interna alla professione in termini di identità professionale, comprendendone le origini, il passato, con uno sguardo al presente. Una riflessione tanto auspicata sia nel contesto italiano che a livello internazionale, Lewenson (22) ritiene che l'analisi storica fornisce agli infermieri un senso più ampio di comprensione circa la loro professione all'interno del contesto di assistenza sanitaria e di progresso medico.

Conoscere attraverso le scienze sociali quali dimensioni intervengono nella costruzione del concetto di immagine e quali fattori siano intervenuti nel passato, permetterebbe di analizzare lo stato attuale per un conseguente agire in termini di scelte motivate nell’orientare le politiche della professione e dell’assistenza. Scelte che potrebbero essere cruciali per le sfide professionali presenti e future, in termini di performance lavorative e di miglioramento della qualità delle cure.

Medesima considerazione per la comprensione degli stereotipi femminili, a connotazione negativa, legati all’immagine infermieristica. Ciò consentirebbe l’individuazione di politiche professionali atte a migliorare la percezione pubblica della figura infermieristica, che come si è visto condiziona il modo in cui gli infermieri percepiscono la propria identità, aumentando in tal modo l’attrazione verso la professione, riducendo frustrazione, stress, insoddisfazione lavorativa, ed intenzione di abbandono nei diversi contesti lavorativi.

I risultati del progetto per il focus di ricerca rappresenterebbero un primo rigoroso contributo scientifico alla storia della professione infermieristica italiana del periodo considerato, attendendoci una conferma di quanto sinora presente nella storiografia.

BIBLIOGRAFIA

Manzoni E (2016) Le radici e le foglie. Una visione storico-epistemologica della disciplina Infermieristica. 2a ed. Milano: Casa Editrice Ambrosiana.

2. Gallino L (1988) Dizionario di sociologia, 2nd ristampa riveduta. Torino: UTET, 350.

3. Dignani L, Montanari P, Dante A, Guarinoni MG, Petrucci C, Lancia L (2014) L'immagine dell'infermiere in Italia dall’analisi dell'archivio storico di un quotidiano nazionale, Professioni Infermieristiche, 67(1), 49-54. Consultato 30 agosto 2017, disponibile al doi: 10.7429/pi.2014.671049.

4. Capone S, Sambati V, Montanari E, Antonazzo M (2017) L'infermiere tra immagine sociale e professionale: esperienze dirette, stereotipi e ruolo dei media. L’Infermiere, 61(4), e62-e67.

5. Regio Decreto Legge 21 novembre 1929 n° 2330. Approvazione del regolamento per l’esecuzione del Regio Decreto Legge 15 agosto 1925, n° 1832, riguardante le scuole convitto professionali per infermiere, e di scuole specializzate di medicina, pubblica igiene ed assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici. Consultato il 22 maggio 2017, disponibile all’indirizzo: http://augusto.agid.gov.it/gazzette/index/download/id/1930026_P1

6. De Grazia V (2007) Le donne nel regime fascista. 3a ed. Venezia: Marsilio.

7. Ropa R, Venturoli C (2010). Donne e lavoro: un’identità difficile. Lavoratrici in Emilia Romagna (1860-1960). Bologna: Editrice Compositori, XII.

8. De Paola T (2015) La fascistizzazione della professione infermieristica. In: Rocco G, Cipolla C, Stievano A, a cura di. La storia del nursing in Italia e nel contesto internazionale. Milano: FrancoAngeli, 258-295.

9.  Fiumi A (1993) Infermieri e ospedale. Storia della professione infermieristica tra ‘800 e ‘900.

Verona: Editore Nettuno, 99.

10. Ciccone G (2009) Storia ed evoluzione dell’assistenza e della ricerca infermieristica. Roma:Aracne Editrice, 124.

11. Sironi C (2012) L’infermiere in Italia: storia di una professione. Roma: Carocci Faber.

12. Dimonte V (2007) Da Servente ad infermiere. Una storia dell’assistenza infermieristica in Italia. 2nd ed. Torino: Cespi.

13. Manzoni E (2001) Storia dell’assistenza infermieristica. In: Cantarelli M, Frati L, (a cura di). Storia e filosofia dell’assistenza infermieristica.  Milano: Masson, 92-153

14. Preti D (1984) La questione ospedaliera nell’Italia fascista (1922-1940): un aspetto della “modernizzazione corporativa. In: Della Peruta F, (a cura di). Storia d’Italia. Annali, malattia e  medicina, vol. 7. Torino: Einaudi Editore, 335-387.

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17. L’Infermiera Italiana. Organo Ufficiale del Sindacato Nazionale Fascista Infermiere Diplomate aderente alla Confederazione Fascista dei Professionisti e degli Artisti, annate 1935-1943.

18. Fraire M, Spagnuolo S, Stasi S,  (2016) L’utilizzo dei big social data per la ricerca sociale: Il caso della cittadinanza attiva in difesa del territorio. In: Agnoli MS, Parra Saiani P, (a cura di). Sulle tracce dei Big Data. Questioni di metodo e percorsi di ricerca. Sociologia e Ricerca Sociale, 109(1), 174-187. 

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20. Chabod F (2012) Lezioni di metodo storico. 18th ed. Bari: Editori Laterza.   

21. Risman BJ (2004) Gender as a social structure. Theory wrestling with activism. Gender & Society. https://doi.org/10.1177/0891243204265349.

22. Lewenson SB (2015) Learning the historical method: step by step. In De Chesnay M, (edited). Nursing research using historical methods. Qualitative designs and methods in nursing. New York: Springer Publishing Company, 1-21.

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