1.13.7
Progetto per la formazione del personale infermieristico in materia di prevenzione del suicidio (2013)
Responsabile del Polo
Coordinatori del Progetto
Abstract
not found
Background
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera il suicidio come un problema complesso non ascrivibile ad una sola causa o ad un motivo preciso. Sembra piuttosto derivare da una complessa interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali ed ambientali. Il suicidio, nell’ambito della salute pubblica, è un grave problema che potrebbe essere in gran parte prevenuto; costituisce la causa di circa un milione di morti ogni anno con costi stimabili in milioni di euro secondo quanto indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Stando ai dati attuali e all’analisi dei tassi di morte per suicidio nel mondo, le stime suggeriscono che nel 2020, le vittime potrebbero salire ad un milione e mezzo. Nel 2000 circa un milione di individui ha perso la vita a causa del suicidio, mentre un numero di individui variabile da 10 a 20 volte più grande ha tentato il suicidio. Ciò rappresenta in media una morte per suicidio ogni 40 secondi ed un tentativo di suicidio ogni 3 secondi. Questo ci porta a concludere che muoiono più persone a causa del suicidio che per i conflitti armati di tutto il mondo e gli incidenti automobilistici. In tutte le nazioni, il suicidio è attualmente tra le prime tre cause di morte nella fascia di etá 15-34 anni; nel recente passato il fenomeno predominava tra gli anziani, ma ai nostri giorni è più allarmante tra i giovani sia in termini assoluti che relativi in un terzo delle nazioni. Secondo quanto affermato da un documento dell’OMS il suicidio è un problema di grande entità nei paesi europei, soprattutto tra i nuovi stati indipendenti dell’Europa dell’est. I governi di tutte le nazioni del mondo sono impegnati nella lotta contro il suicidio promuovendo la consapevolezza e migliorando gli interventi e le tecniche preventive.
Obiettivi di progetto
Il prendersi cura del paziente a rischio di suicidio necessità di attenzioni e abilità particolari da parte del personale infermieristico. Tuttavia, in molti casi non è tanto un’abilità in una certa tecnica terapeutica ad essere essenziale, quanto la capacità di mettere in essere modelli assistenziali professionalizzanti inerenti la comunicazione terpaeutica le la messa in sicurezza del paziente a livello ambientale, relazionale, organizzativo.
Già nel 1966, Farberow e collaboratori avevano notato che tra i pazienti ricoverati, coloro che erano a rischio di suicidio tendevano a lamentarsi, a criticare e a fare numerose richieste allo staff medico. Questi pazienti richiedevano più cure e attenzioni, erano etichettati come “dipendenti-insoddisfatti” e mettevano a dura prova lo staff che doveva confrontarsi con continue difficoltà. Tale situazione evocava dunque sentimenti di rifiuto e conduceva all’alienazione maligna terminale. Abreu K, et Al. Nel 2010, individuano con precisione i fattori prodromici e osservabili dagli infermieri nelle persone con tendenze autolesive o suicidarie; Njman 1990, afferma che Demoralizzazione e sfiducia così come pure conflitti tra colleghi o mancanza di comunicazione e collaborazione sono fattori ritenuti importanti nell’influenzare il rischio di suicidio, individuando come i fattori ambientali quali il sovraffollamento e il “calo” dell’intensità assistenziale o l’eccessivo isolamento senza adeguato sostegno emotivo sono descritti comportano un maggior rischio, soprattutto nelle unità di medicina e chirurgia generale I reparti in cui invece regna calma, collaborazione, spirito di squadra e vengono erogati programmi di informazione sul suicidio sono luoghi in cui il rischio di suicidio è minore. In Mental Health & Psycho-Social Issues. The qualitative evaluation of a suicide prevention and management programme by general nurses di Sally Wai-chi Chan, Wai-tong 2008 gli operatori sanitari e in particolare il personale infermieristico svolgono un ruolo chiave nella prevenzione e nella gestione degli eventi suicidari all’interno delle strutture sanitarie.
lo studio è stato attuato a fine di prevenzione dei tentativi di suicidio e migliore gestione dei bisogni dei soggetti che hanno commesso o che sono a rischio di suicidio.
Il programma si è svolto in due Ospedali di Hong Kong e ha coinvolto quindi proprio il personale infermieristico di dipartimenti medici e chirurgici.
Gli obiettivi erano di:
- valutare l’effetto di un programma educativo, (condotto da Psichiatri), sull’attitudine, la conoscenza e la competenza del personale infermieristico nella prevenzione e nella gestione di pazienti con precedente tentativo o con ideazione suicidaria.
- identificare i punti di forza e le debolezze del programma educativo dal punto di vista del personale infermieristico tramite focus group.
Dei 220 possibili partecipanti 54 hanno aderito e partecipato al programma di intervento, nella maggior parte donne (88,9%) appartenenti a reparti medici (74,1%). L’intervento prevedeva un programma educativo di 18 ore basato sul metodo di apprendimento caratterizzato da discussioni, letture di articoli e linee guida, giochi di ruolo ed esposizione di casi clinici della loro personale esperienza. Il gruppo è stato poi suddiviso in tre sottogruppi:
- sottogruppo che riferiva cambiamenti positivi nell’attitudine e/o nella conoscenza dopo il programma
- sottogruppo che non riferiva cambiamenti
- sottogruppo che riferiva cambiamenti negativi nell’attitudine e/o nella conoscenza dopo il programma.
Per ogni sottogruppo sono stati scelti 8 partecipanti (totale 24) che hanno seguito tre focus group immediatamente dopo la conclusione del programma educativo per valutarne i punti di forza e le debolezze. Successivamente sono stati svolti altri tre focus group a distanza di 6 mesi per valutare se venivano applicati gli insegnamenti dati e se il personale avvertiva una maggior capacità di gestire i pazienti con rischio suicidario. I focus group venivano condotti da un infermiere del dipartimento di salute mentale.
La valutazione qualitativa del programma ha evidenziato:
- una buona adesione al programma che incontrava le aspettative dei partecipanti e veniva percepito come positivo,
- una maggiore consapevolezza della responsabilità del personale infermieristico nella prevenzione del suicidio,
- un cambiamento nell’attitudine alla prevenzione e alla gestione del suicidio, con una maggiore attenzione ai bisogni psicologici dei pazienti depressi e delle loro famiglie,
- la necessità di approfondire ulteriormente il problema del suicidio,
- una migliore capacità di identificare i pazienti a rischio
- una maggiore competenza nella comunicazione con i pazienti suicidari.
I partecipanti al programma hanno riferito un miglioramento dell’attitudine e della capacità di gestire i pazienti con intenti suicidari e nell’approccio pratico all’applicazione delle nuove conoscenze.
Un possibile fattore che può compromettere l’abilità dello staff infermieristico nel riconoscere il rischio di suicidio è lo stress lavorativo o ancor peggio il burnout. Pompili et al. (2006) hanno eseguito uno studio che includeva 120 infermieri appartenenti all’area della medicine d’urgenza, della medicina interna e della psichiatria. Gli autori hanno rilevato che il burnout e specifici elementi comportamentali e psicodinamici (proiezione, aggressione rivolta verso se stessi, esaurimento emotivo “emotional exhaustion”) possono non solo esporre gli operatori sanitari ad un maggior rischio di suicidio ma anche impedire una efficace azione preventiva nei pazienti a rischio .
In “Never the twain? Reconciling national suicide prevention strategies with the practice, educational, and policy needs of mental health nurses” (John R. Cutcliffe and Chris Stevenson 2008 ) dimostra che la formazione nella valutazione del rischio è forse discutibile dato che questo è già di gran lunga l'area più sviluppata del suicidologia incentrata sulla letteratura e che la nostra conoscenza è aumentata per ciò che inerisce la conoscenza dei fattori di rischio che non hanno finora prodotto riduzioni significative dei tassi di suicidio. Laddove la formazione, rifletta il chiaro intento di muoversi verso una maggiore coercizione e di controllo nella politica internazionale della salute mentale; viceversa una formazione basata sulla comunicazione empatica e la comprensione della fenomenologia con modelli avanzati di Primary Nursing abbatta statisticamente il rischio suicidario.
Il suicidio è un atto personale ma tutti ne sentiamo gli effetti. Così recita uno slogan diffuso da una grande associazione statunitense che si occupa della prevenzione del suicidio. Secondo le stime di questa associazione, ogni anno 180 000 individui entrano nella categoria dei sopravvissuti (survivors), ossia individui che hanno perso un caro per suicidio. Il termine sopravvissuto è dunque utilizzato per descrivere le difficoltà che le persone cha hanno perso un loro caro a causa del suicidio devono affondare quotidianamente. L’impatto è sulle famiglie, la comunità e la società nella sua interezza. Ogni suicidio sottrae a chi rimane in vita di un potenziale di affetti, creatività, contributo ai vari aspetti della vita. Non si tratta solo della perdita della vita di un individuo ma soprattutto del buco che esso lascia nelle molteplici attività dei viventi.
I sopravvissuti sono la più grande comunità di vittime che ruota nell’area della salute mentale connessa al suicidio. La perdita di una persona cara per suicidio è scioccante, dolorosa e inaspettata. Il lutto che segue questa esperienza è un processo individuale molto complesso e che si risolve in tempi diversi, nei casi più fortunati. Il dolore non segue sempre un percorso lineare e non necessariamente progredisce e si risolve. Queste persone non si aspettano di tornare alla vita normale che svolgevano prima dell’evento ma vogliono adattarsi ad una vita senza la persona cara.
L’American Psychiatric Association considera il trauma derivante dalla perdita di un caro per suicidio “catastrofico” al pari di un’esperienza in un campo di concentramento.
Sebbene coloro che hanno perso un caro per il suicidio condividono molte emozioni tipiche del lutto, essi affrontano però una gamma di sentimenti unici per la loro condizione. Molti studi hanno identificato ripercussioni notevoli sia sulla vita professionale che sulla vita privata dei curanti che possono dunque essere anch’essi considerati dei sopravvissuti. L’idea di non aver fatto abbastanza e il sentirsi in colpa, aggiunta alla paura di azioni legali sono solo due della fitta lista di sentimenti e reazioni di fronte al suicidio di un proprio paziente 46 63. Le reazioni dei curanti di fronte al suicidio del paziente sono tali da compromettere la loro vita professionale e quella personale 64. Alcuni studi evidenziano che gli psichiatri sono in grado di ricordare nome e dettagli dei loro pazienti che si sono suicidati anche distanza di 30 anni.
Grande importanza assumono gli interventi che seguono il suicidio del paziente. Quando il suicidio avviene in ambiente ospedaliero o immediatamente dopo le dimissioni, lo staff dovrebbe essere coinvolto in riunioni che permettano di identificare gli eventi chiave dell’accaduto. Piuttosto che identificare possibili colpevoli, tali incontri dovrebbero servire per condividere esperienze emotive, capire se il paziente aveva dato messaggi che non hanno destato l’attenzione del personale e se esiste “quel qualcosa che si poteva fare per salvargli la vita”. Ciò che esce fuori da tale riunione dovrebbe essere un proposito da applicare agli altri pazienti a rischio piuttosto che generare sensi di colpa.
Metodologia
Il Progetto propone eventi formativi in diversi contesti aziendali allo scopo di apportare informazione e formazione circa il ruolo dell'infermiere nella prevenzione del suicidio.
Sarà somministrato un pretest per valutare le conoscenze del fenomeno prima dell’evento formativo e al termine di ogni modulo.
Le relazioni verteranno sui seguenti temi:
· Il suicidio come evento inatteso: dall’epidemiologia alla conoscenza del fenomeno
· Fattori di rischio e valutazione del rischio suicidario
· Prevenzione del rischio di suicidio
· Il ruolo dell’infermiere nella prevenzione del suicidio
· Strumenti infermieristici di valutazione del rischio
· Empowerment della persona e dei caregiver
· Strategie di coping efficace
· Proiezione di casi clinici
· Affrontare il suicidio del paziente
· Theapeutic Milieu e Criticità Organizzative
· Role Play
· Comunicazione efficace nella prevenzione e gestione della crisi Suicidaria
· Discussione
Il progetto formativo si esplicherà su due giornate con 8 ore suddivise tra didattica frontale ( 5 ore ); Role play e casi clinici ( 2 ore ); discussione ( 1 ora )
Risultati attesi
Verifica, tramite strumento indagativo somministrato prima degli eventi formativi e al loro termine, di apprendimento e sensibilizzazione ai modelli assistenziali e professionalizzanti del Nursing, con la dimostrazione tramite Role Play, di saper mettere in atto strutture comunicative terapeutiche di Self-Help e buone pratiche di Contenimento Relazionale.
Bibliografia
de Abreu K, Lima M, Kohlrausch E, Soares J.
“Suicidal behavior: risk factors and preventive interventions” [Portuguese]. Revista Eletrônica De Enfermagem [serial on the Internet]. (2010), [cited March 10, 2013]; 12(1): 195-200.
Mental Health & Psycho-Social Issues. The qualitative evaluation of a suicide prevention and management programme by general nurses
Sally Wai-chi Chan, Wai-tong Chien and Steve Tso. Journal of Clinical Nursing 2008
John R. Cutcliffe and Chris Stevenson “ Never the twain? Reconciling national suicide prevention strategies with the practice,educational, and policy needs of mental health nurses”
International Journal of Mental Health Nursing (2008) 17, 341–350
R . Jones, “The development of nurse-led suicide prevention training
for multidisciplinary staff in a North Wales NHS Trust”
Journal of Psychiatric and Mental Health Nursing, 2010, 17, 178–183
BRODIE PATERSON, DAWN DOWDING et al.
“Managing the risk of suicide in acute psychiatric inpatients:
A clinical judgement analysis of staff predictions of
imminent suicide risk”, Journal of Mental Health,
August 2008; 17(4): 410–423
Linda Garand, PhD, APRN, BC
“SUICIDE IN OLDER ADULTS: NURSING ASSESSMENT OF SUICIDE RISK” Issues in Mental Health Nursing, 27:355–370, 2006